THE MENU (O.V.)

THE MENU (O.V.)

Versione in lingua inglese con sottotitoli in italiano

In sala solo il 10 NOVEMBRE 2022

Sorprese incredibili nel menù del ristorante di un’isola sperduta.

Tyler, gourmet ossessivo, invita Margot, misteriosa ‘fidanzata’, ad accompagnarlo a Hawthorn, un ristorante stellato nel cuore di un’isola privata. A gestirlo, come una caserma, è Slowik, chef di cucina molecolare che promette un menu da sogno guarnito da rivelazioni e sorprese. Tra una portata e l’altra, che Tyler degusta vorace, e Margot declina irritando Slowik, uno spettacolo macabro prende progressivamente forma. Circondata da celebrità del cinema e squali della finanza, critici gastronomici deliranti e habitué, Margot è la prima ad avvertire il clima ostile. Intanto la sua inappetenza attira l’attenzione dello chef che le fa una terribile rivelazione. Margot deve comprendere presto le regole del gioco o pagarne il prezzo con gli altri convitati.

Nella storia dei ‘film di ristorazione’, The Menu aspira a uscire dai sentieri battuti della commedia culinaria (Big NightRatatouilleDinner RushDélicieuxSapori e dissapori…) e a smarcarsi dai programmi televisivi galvanizzanti (“Hell’s Kitchen”, “MasterChef Italia”, “Dinner Club”…) costruiti intorno a personalità esplosive come lo chef britannico Gordon Ramsay o il nostrano Carlo Cracco.

Horror culinario, The Menu arriva dopo Pig e Boiling Point nel dipingere il fallimento di un sistema e di un mondo che non ha più i piedi per terra. A Hawthorn il prezzo è 1.250 dollari a testa, sottomissione allo chef inclusa. Ti rimetti al suo genio e lui in cambio ti offre la trascendenza su un piatto d’argento. Un’introduzione efficace tratteggia personaggi e personalità che bramano le ‘esperienze’ e venerano il cibo rarefatto, tutti tranne Margot, outsider senza ricchezza e senza privilegi che fuma sigarette e se ne fotte delle papille gustative.

Come Pig, western culinario tra campagna e città, la commedia orrorifica di Mark Mylod è nemica della sofisticazione mondana, che ha finito per corrompere le proprie scale di valori. Accomodati i suoi ospiti, inebriati con rossi invecchiati o bianchi ghiacciati, punta i riflettori sul suo chef che recita marziale la sua filosofia alimentare. Le sfumature sono sinistre ma i commensali sono in estasi e non vedono il codice matrix sottostante, fino alla terza portata, tortillas ‘incise’ e personalizzate. E a quel punto è troppo tardi.

Meno sappiamo di The Menu e più deliziosa sarà la cena, tuttavia possiamo rivelare senza fare danni, che il film assomiglia a uno spettacolo teatrale concentrato sul processo di costruire ossessivamente ogni piatto, e sul pubblico, oscenamente ricco e disarmato non appena viene maltrattato in una conversazione a tavola. Dall’altra parte del fronte, un esercito di cuochi risponde agli ordini all’unisono e parla solo se interpellato. Le loro vite personali sono votate al culto della cucina, soffriggono, fermentano, misurano, insaporiscono, guarniscono, impiattano, stappano bottiglie e montano a neve le colpe imperdonabili dei convitati. La cena si nutre dei loro peccati e assapora la loro umiliazione per ritornare alla generosità delle cose semplici (hamburger), finire col botto e riportare tutti alla realtà. Il cibo e la sua preparazione si impongono come principali vettori emozionali del racconto.

Un racconto basato su un’isola, tempio dell’essenziale che offre pesce, verdure e carne, e accomodato in un locale esclusivo, che ospita solo una dozzina di persone, non ammette cellulari e non accetta commensali solitari. La posta in gioco è alta (riflettere sui propri privilegi e le proprie meschinità), l’ego è grande e la ricerca di una sensazione effimera è infinita. In questo senso, The Menu fornisce un inquietante commento satirico sulla divisione di classe e su come i ricchi siano un pozzo senza fondo di bisogni insoddisfatti. Mark Mylod apparecchia una commedia dark e vendicativa che sonda le ansie di un collettivo passivo e spoglia le sue velleità.

Il film non si traduce mai in una critica sociale rivelatrice ma sfoggia comunque una visione acuta e avvincente sulle pressioni create dal capitalismo e dalla sua applicazione incoerente. Una potente parodia di una cultura in cui l’esclusività e le esperienze uniche sono feticizzate in misura malsana. Ralph Fiennes è sempre vagamente mostruoso e Nicholas Hoult è l’attore più intrepido di tutti quando si tratta di essere maldestro e vanesio (La favoritaThe Great). Tra di loro, la vermeeriana Anya Taylor-Joy fa “scacco matto”.

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