LA PITTRICE E IL LADRO
In sala solo il 15-16-17 NOVEMBRE 2021
Una donna diventa la migliore amica del ladro che le ha preso i suoi dipinti.
L’antefatto: nella Galleria Nobel di Oslo vengono rubati due quadri dell’artista ceca Barbora Kysilkova; uno dei due ladri, arrestato e processato, è Karl-Bertil Nordland, un tossicodipendente che dice di non ricordare nulla del furto. Durante il processo, Barbora avvicina l’uomo e gli chiede di poterlo incontrare, dando così inizio a un’amicizia fuori e dentro il carcere. Il film, girato tra il 2016 e il 2019, segue questo strano rapporto dal punto di vista entrambi, tra sedute per i ritratti, conversazioni al bar, visite di Barbora nell’ospedale dove Bertil viene ricoverato dopo un grave incidente, racconti dell’uno dell’altro, senza tralasciare il marito di Barbora, Øystein, che ha salvato la donna da una relazione violenta con un ex fidanzato.
Cosa lega Barbora a Berlil? È l’interesse artistico per il proprio lavoro? La ricerca d’ispirazione per i suoi quadri iperrealisti? Oppure, espresso attraverso uno sguardo che osserva e una mano che riproduce, il desiderio di possesso di una donna di successo verso un uomo incapace di gestire la propria vita?
I protagonisti di La pittrice e il ladro sono quattro: le due figure attorno a cui ruota la storia, la pittrice Barbora e il ladro Bertil, cioè la vittima e il criminale, ma anche il marito della pittrice, Øystein, uomo mite e ponderato e per ultima una presenza invisibile ma fondamentale perché questa storia si veda, vale a dire la macchina da presa, l’occhio meccanico del Benjamin Ree, il quale in un’intervista al “The Guardian” ha dichiarato di aver scelto di girare il film per capire «cosa le persone sono disposte a fare per essere apprezzate» e «cosa bisogna fare per aiutare e comprendere gli altri».
Il centro del discorso è chiaramente Barbora, la donna in passato vittima di una violenza a lungo taciuta e accettata solamente grazie a un uomo capace di amarla e ascoltarla, che trasformata in vittima riconosciuta – un’artista privata del proprio lavoro – si avvicina a un criminale per capirne le motivazioni. Cercando l’altro, Barbora va in cerca di sé stessa; aiutando l’altro, come le dice in maniera secca il marito, cerca di aiutare sé stessa. Dove sta dunque la moralità del comportamento di questa donna, anche dopo averne intuito le comprensibili motivazioni?
Lungi dal sollevare Barbora dalla responsabilità di uno sguardo paternalista in virtù di una passata sofferenza di segno uguale (cosa invece sottolineata dalla stampa americana, che negli articoli scritti dopo la presentazione del film al Sundance 2020 giustificava la pittrice proprio perché vittima a sua volta di una violenza patriarcale), il film, anche grazie alla mediazione di Øystein, mette a nudo l’atteggiamento ambiguo di Barbora e la sua indifendibile posizione di dominio su Bertil.
Dopo la prima mezz’ora, però, Benjamin Ree è bravo a ribaltare il racconto e mostrare la vicenda dalla prospettiva di Bertil. E dunque la domanda che lo spettatore si pone diventa: cosa prova l’ex ladro di fronte a una donna di talento che non solo lo ha perdonato, ma addirittura gli ha offerto la sua amicizia, il suo conforto, anche la sua opera, disegnando per lui vari ritratti?
Senza risposte da offrire, consapevolmente o meno il film fatica a trovare la propria traccia. Se l’ansia di costruire un racconto compiuto, romanzesco con le riprese delle vite di Barbora e Bertil porta a momenti intollerabili (come quando l’uomo scoppia a piangere di fronte al suo primo ritratto, segno di un affetto sincero probabilmente mai provato), è pur vero che la presenza di un sguardo “esterno” ai due protagonisti, sia esso della macchina da presa o del marito di Barbora (la figura più bella e complessa del terzetto), aiuta il film a restare lucido sulla complessità e la pericolosità della relazione.
Barbora e Bertil, entrambi in crisi rispetto al proprio passato e al proprio presente, trovano solo alla fine una sintesi al loro strano incontro: non nel film, però, che è pensato come uno spazio di voci molteplici e contraddittorie, ma in uno dei quadri rubati, l’unico mostrato nel suo farsi, oggetto simbolico e compiuto prima creato, poi rimosso e infine riportato al suo luogo originario.
Perché vivere – e conoscersi, incontrarsi, capirsi, anche amarsi, da sconosciuti, amici o protagonisti di un film e di un quadro – significa soprattutto ritrovarsi: riportare tutto a casa, come diceva Dylan. Riportare un quadro nella sua cornice.