EZIO BOSSO. LE COSE CHE RESTANO

EZIO BOSSO

LE COSE CHE RESTANO

In sala solo dal 4 al 6 OTTOBRE 2021

Le parole del compianto artista svelano un grande uomo dietro un talento eccezionale.

Nato in una famiglia di origini popolari, attratto dalla melodia dall’età di quattro anni, Ezio Bosso (1971-2020) si è imposto come interprete, direttore d’orchestra e compositore grazie a una disciplina strettissima, una curiosità da cosmopolita e una passione bruciante per la musica. Caratteristiche che, insieme a una capacità comunicativa eccezionale, lo hanno reso riconoscibile e amato dal pubblico, anche quello che abitualmente non ha dimestichezza con la classica e i concerti di sinfonica.

Allievo di Claudio Abbado e sostenitore della sua concezione della musica come bene comune, non patrimonio elitario chiuso nelle sale da concerto, nel 2011, scoprendo di soffrire di una malattia neurovegetativa, aveva lasciato il contrabbasso e si era concentrato, con determinazione se possibile ancora maggiore, sul piano, sulla composizione e sulla direzione, per portare il più possibile la sua musica nei teatri. Anche in tv, sul palco di Sanremo.

Già autore della serie di monografie musicali Unici per la RAI, per il grande schermo Giorgio Verdelli ha diretto Pino Daniele. Il tempo resterà (2017) e Paolo Conte. Via con me, Fuori concorso alla Mostra nel 2020.

Ezio Bosso – Le cose che restano, a differenza dei precedenti, racconta un artista dalla presenza scenica esorbitante, tracimante di emotività, alla quale si era aggiunta l’evidenza di una malattia che muoveva istintivamente a empatizzare con l’uomo. Forse per questo Verdelli ha sentito l’esigenza di temperare i tanti momenti di performance live e di elaborazione teorica dalla viva voce di Bosso con una corposa serie di interventi parlati, non tutti forieri di informazioni essenziali ma accomunati dal calore della condivisione, della vicinanza sentimentale con il musicista torinese.

Tra i più incisivi, quello di Gabriele Salvatores, che con Bosso ha collaborato dal 2005 al 2014, da Io non ho paura a Quo Vadis, Baby? fino a Il ragazzo invisibile, dice che “sembrava volare” mentre dirigeva i sessanta elementi della London Symphony Orchestra negli studi di Abbey Road.

Ma ancora meglio fa il regista e attore Valter Malosti, che coglie nell’amico il carattere dionisiaco, la musica che si fa corpo. E che ad esso si adatta, come lo Steinway “ricalibrato” che lo ha accompagnato in ogni concerto, abbracciato a fine esecuzione, o le sedute che lo sostenevano nella performance, fino al gesticolare e ai sorrisi larghi.

Questa trascendenza della musica nel corpo, così come il carisma scenico di Bosso, sottolineato anche da animali da palcoscenico come Silvio Orlando e Paolo Fresu, è il tema dominante, il più incisivo e memorabile, di un film rispettoso ma non immune da canonizzazione, la cui principale tensione, più che addentrarsi nelle dinamiche di creazione artistica, è quella di accumulare e concatenare i ricordi delle persone a lui vicine agli highlights di una carriera, tra i quali spicca un toccante intervento al Parlamento Europeo, da tenere molto caro.

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